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30 capo ii.

di Firenze e di Mantova e Venezia, cui loro guarentiva la costituzione medesima.

I frati professano tre voti, che sono per così dire l’essenza della società fratesca: povertà, castità ed obbedienza. Non già che vogliano essere poveri, sì solamente che nissun frate possieda cosa in privato, tutto dovendo essere comune: uguaglianza utilissima, ma solo praticabile in una repubblica dove per matrimoni o parentele od altri vincoli e vicende non succedono le consuete transazioni sociali, donde proviene l’inegualità. A mantenere questa massima fu necessaria l’altra che i frati non avessero moglie e figliuoli, almeno in convento. L’opinione che lo stato celibe sia più perfetto di quello a cui Dio e la natura hanno destinato gli uomini, nata dai Gnostici ed altri visionari antichi, fu poi sempre sostenuta dalla Corte romana, non perchè vera, ma perchè utile, considerandola come la più salda base di sua potenza. Nè senza ragione; perchè ove il clero fosse legato dagli affetti di marito e di padre, questi inferendo altra serie di vincoli e di amori e medesimità cogli interesssi del corpo civile, non sarebbe più così estranio allo Stato e così fedele al capo ecclesiatico. Ma questo vantaggio hanno i frati sopra i preti, che vivono in comune con discipline più strette, più subordinate. L’obbedienza ne’ soldati costituisce la forza morale degli eserciti, ma in nissuna milizia fu portata a un così alto grado come nelle legioni fratesche; e le moderne società secrete, deboli, discordi, ciarliere, senza leggi, dovrebbono in loro specchiarsi e prenderle a norma. I frati sono altrettante società secrete, ma infralite