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capo xvii. 341

tomano anco dalla Camera apostolica, erano venuti meno. L’indegnazione del delitto e le sgrida di tutta l’Europa si facevano sentire anco a Roma, e ammonivano quella Corte ad essere più cauta. I più prudenti e consideratori arrossivano che si fosse prestata una così lunga ad aperta protezione a quei tristi: gli altri gli abbandonavano a poco a poco, o gli nutrivano di promesse. I gesuiti, quantunque favorissero il Poma, andavano scaltramente a rilento nel somministrargli denaro: a Napoli gli promisero di accettare suo figlio; ma poi vergognando di ammettere nella loro società la progenie, benchè innocente, d’uomo così infame, non lo accettarono. Gli fecero altre promesse, e non le mantennero. Altronde il colpo era mancato; il delitto, inutile; non paga la vendetta: bisognava almeno evitare l’ignominia di avervi partecipato.

Tutti quei ribaldi vivevano una vita affannosa, precaria, piena di pericoli e di miserie. I tre barcaiuoli incalzati da povertà, dal rimorso e dalla disperazione, e allettati dal generoso premio, offersero all’ambasciatore Contarini di ammazzare il Poma, o le occasioni di farlo ammazzar lui: partito che non parve conveniente al suo decoro. Altri s’indettarono col residente di Napoli per ammazzare o il Parrasio o Pasquale da Bitonto; infatti di lì a qualche tempo riuscirono in quest’ultimo. L’implacabile Consiglio dei Dieci concertava per avere la testa dell’odiato Poma, e già la nuova della sua interfezione si era sparsa in Venezia. Poma poi e Parrasio si fecero nemici per insidie che si tendevano a vicenda, e le figliuole del primo e i suoi amici