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capo xvii. 339

natici e le persone fervide e cortigianesche sostenevano, esser obbligato a farlo per aver eglino tentato di ammazzare un eretico. Frate Bovio vescovo di Molfetta quel medesimo che scrisse contra il Sarpi, stando nell’anticamera del cardinale Borghese sentenziò senza scrupoli che si poteva in buona coscienza ammazzarlo; ed avendogli taluno considerato che non peranco era chiarito e pubblicato eretico, soggiunse: Basta che tale sia tenuto a questa Corte.

Qualunque poi fossero le opinioni, dice l’ambasciatore veneto che in generale tutti desideravano, quelli ancora che disapprovavano il delitto, che Frà Paolo fosse restato ucciso.

Pare nondimeno che il pontefice sentisse in sè certa vergogna che nella sua capitale alloggiassero esseri contro cui suonavano le maledizioni di tutta l’Europa; perchè qualunque sieno le opinioni parziali degli uomini, il delitto è sempre delitto. Per la qual cosa egli aveva ordinato al suo nunzio in Napoli d’intavolare alcune pratiche con quel vicerè, perchè i cinque sgraziati fossero accolti e sicurati nel regno; e vantando la Corte non so quali ragioni su certi beni nella terra di Bari intorno a cui era disputa tra i due governi, affine di mascherare il patrocinio che la Camera apostolica accordava agli assassini, convennero di assegnar loro provvisoriamente 1500 scudi all’anno su quei beni. Il vicerè, come spagnuolo e fautore de’ gesuiti, consentì volentieri i salvocondotti; ma la povertà dell’erario in quel paese ricchissimo, frutto delle spagnuole dilapidazioni ed insaziabile avidità degli amministratori,