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334 capo xvii.

leggi impolitiche ed inque, e molta ignoranza, che guasta la morale pubblica e disordinati i costumi, l’assassinio faceva ribrezzo a nissuno: il nobile e il plebeo vi si contaminavano egualmente, era in più casi canonizzato dai teologi, e i governi fiacchi e crudeli ne usavano come di mezzi per soddisfare alla giustizia contro famigerati colpevoli che si sottraevano alla pubblica vendetta: non ricordando che punivano il delitto col delitto, e che mettendo a prezzo la testa di un malfattore stabilivano un premio a ogni altro che voleva diventarlo. I barcaiuoli che avevano condotto i sicari di Frà Paolo, allettati dal premio e dalla impunità, saggiarono di sorprendere e di ricondurre a Venezia il prete Viti: altri, e in particolare gli osti, si dolevano di non avere conosciuto più tosto il bando, che avrebbono voluto guadagnare le taglie. Ad Ancona, dove gli assassini andarono a rifuggire, correva già voce che il Parrasio, a cui il delitto era abitudine e in casa del quale tutti gli altri alloggiavano, non sarebbe ito molto che avrebbe tolto di vita il Poma.

Il prete Franceschi appena seppe che Ridolfo si trovava ad Ancona, gli mandò per un Tedesco di lui servitore, restato in Roma col prete, una cambiale di 1000 ducati che fu pagata da Gerolamo Scalamonti agente del papa in Ancona: da qual mano provenisse questo denaro, lo ignoro. Si disse ancora che al Poma altra somma di denari fosse esborsata in Ferrara dal cardinale Spinola legato. Merita ancora di essere notato che tanto il Parrasio come un tal Lodovico venuto con esso lui da Venezia, banditi ambidue capitalmente da Ancona,