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capo xvii. 333

dubiti, finchè me vede mi. Approdati altrove, levarono il Parrasio e gli altri; ma in que’ precipizi non tutti poterono fuggire; anzi quello che mancò al segnale non fu raccolto nella peotta, quantunque li supplicasse. Ond’è che in quella sera medesima varii di loro furono arrestati e rivelarono ai Decemviri quello che sapevano e il nome de’ sozii. Poma, sbarcato ad un certo luogo dov’era pronto un cavallo, andò a Padova a prendere il suo figlio Ruffino, e raggiunse i suoi compagni a Rimini. Questi, non potendo navigare la notte per avere il vento contrario, si erano fermati a terra e addormentati quando loro passò dappresso, senza vederli, la gondola del Consiglio dei Dieci che gl’inseguiva, del che sbigottiti fecero forza per allontanarsi da quei pericolosi paraggi.

Giunti negli Stati del papa, si andavano gloriando su per le osterie di avere ammazzato Frà Paolo, e vantavano un passaporto del cardinale Giustiniani legato di Bologna che loro permetteva di portare ogni sorte d’armi. Infatti erano muniti di pistole, di schidioni e di archibusi, e viaggiavano in due carrozze. La brutta coscienza essendo una cattiva compagna, appena udirono il bando terribile del Consiglio dei Dieci che prometteva l’ingente somma di 4000 ducati a chi ammazzava il Poma, e di 2000 per gli altri, furono compresi da tanta paura che deponevano le armi neppure a tavola. In un secolo divoto e quando l’Inquisizione prescriveva i libri e perseguitava gli eretici e puniva severamente chi frangeva i digiuni della settimana, tale funesto contagio producevano una religione venale e bastarda,