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capo xvii. 331

stinare la sua fortuna, circuito da casuisti insidiosi e feroci, sedotto da splendide apparenze, dalla facilità del disegno, dal merito che avrebbe acquistato presso la Chiesa, dall’avidità di grossi guadagni e dall’ambizione degli onori, si lasciò allucinare al punto di diventare uno scellerato. Fra’ suoi consigliatori e teologi v’ha fondamento di dover contare anco un provinciale de’ domenicani di Venezia che allora si trovava in Roma e che ebbe spessi colloqui con Ridolfo. I primi concerti sembra che siano stati presi col vescovo di Soana. Ridolfo si abboccò anco col cardinal Borghese; ma quali fossero i discorsi, è difficile indovinare. Certo è che da quel tempo cominciò a scrivere a Venezia cose grandi: che i suoi affari si avviavano a prospero indirizzo, che ben presto sarebbe più ricco di prima, che nel cardinal nipote aveva trovato un generoso protettore che gli aveva promesso di allogare nobilmente in monastero le altre due sue figlie e inalzare il suo Ruffinetto ai primi onori della Chiesa.

Quattro mesi consumò il Poma ad affinare il suo disegno: ed era, siccome gli veniva raccomandato, di pigliar vivo Frà Paolo, imbavagliarlo in un sacco, metterlo in una barca e portarlo nello Stato Ecclesiastico; e se non riusciva in questo, toglierlo di vita. Sovvenuto di danari partì da Roma verso il settembre, tornò occultamente in patria; e sembra che il resto de’ suoi concerti gli facesse in Padova, nel monastero dov’era sua figlia, con quel vicario Imberti che ho soprannominato e con altri preti e frati; e che pensasse di rapire il Sarpi cogliendo l’occasione che si recava a visitare in quella università i professori suoi amici, come soleva.