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prete i suoi casi; la decaduta fortuna, il bisogno di ristorarla, la famiglia abbandonata e tali altre strettezze; e che passando da un ragionamento all’altro siasi venuto in proposito di quell’assassinio come espediente facilissimo per fare una rapida fortuna. Siccome gli uomini diventano scellerati per gradi, parrebbe che il Poma, reputato persona onorata in Venezia, o fosse già instradato sulla via del delitto, o che l’avidità dell’oro lo abbia talmente accecato da non lasciargli vedere i pericoli a cui esponeva sè medesimo, i figliuoli, la madre e i pochi beni che ancora gli sopravanzavano.

Ma a quei tempi era volgatissima, difesa a Roma come dogma, e inculcata da preti e frati e con maggior cura da’ gesuiti, la massima che chi ammazza l’eretico otteneva da Dio ampia perdonanza de’ suoi peccati; talchè il delitto, non che apparisse sotto le orrende sue forme, si vestiva agli occhi de’ fanatici di un carattere religioso. Ne sono pieni i libri di Bellarmino, Becano, Mariana, Suarez, Toleto, Bonarscio, Azorio ed altri cento: ne furono vittima Enrico III ed Enrico IV, il principe di Nassau, e poco mancò che non lo fossero la regina Elisabetta, il re Giacomo e Duplessis Mornay cui un eremita andò per assassinare nel suo letto. Clemente VIII, pontefice tutt’altro che fanatico, concedette per un Breve ad alcuni cittadini di Rieti di ammazzare gli assassini del loro padre: eccessi naturali in uomini a cui l’adulazione aveva persuaso di essere uguali in potere ed autorità a Dio. Ora non è più da meravigliare se Ridolfo Poma, depresso, bisognoso, colla vergogna di un fallito, col desiderio di ripri-