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318 capo xvi.

rono gli archibusi per atterrire, e si salvarono colla fuga; Frà Marino, appena potè strigarsi, se la diede a gambe; e Malipero colle persone accorse si avvicinò al Sarpi cui credeva morto, gli cavò il pugnale dalla testa, e trovato che tuttora viveva, il fece immediatamente trasportare al convento.

Sparsasi la nuova, le sollecitudini e l’interessamento de’ Veneziani per il Sarpi sono appena credibili. I senatori, adunati a consiglio in quell’ora, si levarono e corsero quasi tutti al convento per informarsi di propria bocca. I Decemviri, restati soli nella sala del Senato, si costituirono in tribunale e colla solita prontezza diedero ordini perchè fossero arrestati gli assassini. Il teatro fu quasi vuoto di spettatori; una folla immensa circondava il monastero dei Servi; ed essendo corsa voce che i sicari riparassero dal nuncio del papa, la plebe furibonda accorse al suo palazzo per abbruciarlo e il vescovo di Rimini avrebbe veduto una cattiva burla quella sera se i Dieci non mandavano tostamente soldati in suo soccorso, e se i principali magistrati, mescolandosi col popolo, non l’andavano ammansando con dolci parole e dicendo che Frà Paolo era tuttora vivo. Le grida e le imprecazioni contro i papalisti salivano alle stelle, e tapino colui che si fosse trovato ivi in quel mezzo. Insomma una curiosità inesplebile nelle persone di ogni età e d’ogni ceto, una compassione, uno sdegno solo. Il vescovo di Rimini e i suoi famigli stettero più giorni senza uscire di casa, tanta paura avevano di essere massacrati.