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capo xvi. 313

intorno a quella degli stoici, di cui Scioppio aveva pubblicato l’anno prima un trattato, lo ammonì che stasse in sulla guardia; che il papa aveva lunghe le mani; che avrebbe potuto, volendolo, farlo ammazzare; ma che il suo pensiero era di averlo vivo. Poi gli andò insinuando, essere il meglio che col pontefice si riconciliasse, e si offerì mediatore.

Rispose il Sarpi: Avere difeso una causa giusta; rincrescergli che il papa, benchè a torto, se lo recasse ad offesa. Paolo V avere giurati i patti dell’accomodamento che lui pure comprendevano, e non essere mai per credere che volesse mancare alla fede pubblica. Le insidie nella vita macchinarsi contra principi e personaggi grandi, non contra un umile frate; ma ove pure fosse vero, rimettersi al tutto ai decreti della Provvidenza; e se lo pigliassero vivo, della sua vita non essere così padrone il papa che non lo fosse prima lui, e piuttosto che far cosa indegna, essere lui per toglierlasi. E lo ringraziò dell’avvertimento.

Lo Scioppio due giorni dopo, accusato da un suo connazionale di avere scritto satire contro la Repubblica, fu sostenuto in carcere per breve tempo, indi mandato ai confini. A ragione Bayle, riportando le ultime surriferite parole, osserva che Frà Paolo seguiva la dottrina degli stoici, i quali in certi casi ammettevano lecito il suicidio. Io non so se il Servita estendesse la teoria a tutti i casi contemplati da Zenone; ma parmi che la Chiesa non la condanni quando si tratta di salvare il proprio onore, non potendosi fare altrimenti. È vero che a questa parola onore si attaccano idee tanto varie: alcune