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CAPO DECIMOSESTO.


(1607). Tosto dopo seguìto l’accomodamento Traiano Boccalini scrivendo al Sarpi e congratulandosi seco lui della prudenza con cui si era maneggiato in quell’affare e come avesse, procurando un buon accordo, sventate le accuse dei maligni di volersi erigere in capo sêtta, chiudeva: «Deve Vostra Paternità rammemorarsi di aver offeso con la lingua, con la penna e coi consigli un papa, un collegio di cardinali, una corte di Roma e una Sedia apostolica; e se tutti questi le perdonano, sin da’ Gentili si abbraccerà l’Evangelio. Non si addormenti di grazia; che la Corte a qual prezzo si sia vorrà tôrre ai Veneziani il suo appoggio. Il braccio de’ preti è lungo perchè dapertutto hanno l’ingresso, e un colpo è prima dato che inteso. Parlo con franchezza perchè l’amo, e la sua vita è necessaria al mondo e preziosa agli amici».

Il Boccalini che era in corte di Roma parlava di ciò che vedeva ed udiva, ma Frà Paolo non ne fece alcun caso. Vennero altri avvisi. Gaspare Scioppio, cui egli conobbe a Ferrara, era stato a Roma ed aveva avuto secrete conferenze col papa e coi primi di quella Corte relative a cose di protestanti di Germania, ed ebbe commissioni per il Sarpi, cui, passando per Venezia, andò a trovare. E dopo ragionamenti di politica e di filosofia e particolarmente