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capo xv. 305

che l’interdetto fosse principio ad una rivoluzione religiosa in Italia, e un varco aperto alle conquiste della loro sêtta. Senza disputare coi teologi se il papa o Calvino abbia ragione, io penso, per le ragioni sopraddette, che il culto del secondo, arido e metafisico, non potrebbe mai prosperare in Italia; e meno di tutto lo poteva a Venezia, dove la religione alla Vergine e ai Santi, e le consolazioni del purgatorio, e le solennità dei riti erano condizionati al modo di vivere di quel popolo; e quand’anco la Repubblica si fosse separata dal papa, il suo sistema religioso sarebbe pur sempre restato il medesimo.

Con tutto ciò i calvinisti immaginavano che Venezia diventerebbe il contro-altare del papato in Italia, e già pareva a loro di vedere arsi o spezzati i simulacri e calpestate le reliquie, e che Frà Paolo sarebbe il profeta di nuovo culto, e suoi discepoli i senatori, e il popolo tutto odio contra i preti e frati. Fra loro si congratulavano, si scrivevano lettere, facevano pronostici; e la smania di far proseliti essendo una febbre di tutte le religioni nuove, massime quando lo spirito di propaganda, è concitato dal pensiero di nuocere a sêtta rivale, vi furono zelanti uomini i quali corsero da Ginevra a Venezia sfidando i pericoli del Sant’Offizio che poteva coglierli in flagranti nei paesi per cui passavano; e senza lasciarsi disingannare dallo stato diverso delle cose si pascevano tuttavia di bizzarrie, ed ogni facezia che udivano contro il papa, ogni motteggio contro la sua Corte erano raccolti da loro


Vita di F. Paolo T. I. 20