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capo xiv. 293

lero imitare l’esempio de’ Veneziani, e riuscirono: di modochè al fine del secolo XVII la potestà ponteficale non era più temuta neppure dai piccioli governi. La repubblichetta di Lucca che nel 1605 dovette piegare alla volontà superba di Paolo V, trentacinque anni dopo si oppose vigorosamente alla volontà non meno superba di Urbano VIII. La corte di Torino che pure aveva ceduto nel 1605, si contenne assai diversamente nel 1613; imperocchè il nunzio del papa avendo scomunicato il presidente Galeani per violazione di alcuni feudi ecclesiastici, il consiglio ducale dichiarò nulla la scomunica quand’anco venisse dal papa.

Ma più fece la corte di Spagna, che pure vedemmo sottomettersi debolmente alle imperiose domande di Paolo V. Nel 1610 il Consiglio di Castiglia mise al bando gli Annali del Baronio, il quale aveva maltrattata la corte di Spagna e cercato di distruggere i privilegi del così detto Tribunale della Monarchia di Sicilia. Quest’atto di autorità, nuovo a quei tempi, e contro un’opera carissima alla Curia e da lei spacciata l’Evangelio della storia, e presa sotto l’immediata protezione della Congregazione del Sant’Ufficio la quale aveva scritto a tutti gli uffici inquisitoriali d’Italia che invigilassero acciocchè nulla si dicesse o si stampasse contro quegli Annali di Baronio: quest’atto, dico, riuscì mortificantissimo alla Corte romana che invocò le raccomandazioni di quella di Francia, ma indarno.

Morto nel 1611 l’arcivescovo di Saragoza, il papa ne pretese le spoglie; e opponendosi le corti di Aragona, il decano di Saragoza promulgò, a nome del