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280 capo xiii.

torno a cui furono fatte molte parole e commenti. Anco il papa ebbe a dire: Almeno que’ signori l’avesserò tenuta fra loro e non mandarla qui. Per consolarsi, fu fatta correr voce che il cardinale entrando in Collegio aveva dato l’assoluzione di nascosto, tenendo la mano sotto la mozzetta. Ciò poco importava ai Veneziani e fece ridere Frà Paolo. Tornarono i frati (non però i gesuiti) quietamente e senza pompa; e il governo, sempre a sè uguale, proibì ogni festa pel terminato dissidio. Non così nello Stato Romano che travagliato dalla penuria ne desiderava il fine onde si aprissero i passi, e si rianimassero i commerci, abbondassero i viveri; e però l’ambasciatore veneto passando a Roma fu accolto dai popoli con festa; il nunzio andato a Venezia, con indifferenza.

Come finissero i due delinquenti non è noto. Il canonico debbe essere stato liberato, ma intorno all’abate trovo in una lettera del Sarpi, 11 ottobre 1611, queste parole: «Nuovamente il nunzio ha richiesto di torturare l’abate, che fu dato al re e per suo mezzo al papa (perchè il giudicio dura ancora), ed è stato negato». Sembra dunque che il governo non considerandolo più di sua appartenenza dopo averlo regalato al re di Francia, non se ne sia mischiato se non in quello che era di sua competenza nella formazione dei processi del Sant’Offizio, e che abbia languito in carcere fino che morte venne a liberarlo.

È una contradizione singolare, ma non rara nello spirito umano che Bossuet, nella Difesa della dichiarazione del Clero Gallicano, parli dell’interdetto e