Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/280

272 capo xiii.

il costume; e a patto che il papa promettesse anticipatamente che sarebbe ricevuto ed onorato come al solito. In quanto alle leggi non era da parlarne; il papa non aveva diritto alcuno di mischiarsi nel governo economico degli altri Stati: erano fatte, e dovevano stare.

Intanto che queste cose si trattavano, il pontefice fluttuando fra mille incertezze, e tirato da questi e da quelli, dava orecchio ora ai ministri di Spagna, ora al gran-duca di Toscana, ora ad altri inframettitori, tutti desiderosi di figurare i primi nella composizione di così arduo negozio. I cardinali istessi erano divisi, chi lo incalzava da un lato, chi dall’altro. Pentito delle proposte si ritrattava, tergiversava, all’uso romano cavillava sui termini, aveva sempre qualche nuova pretesa. Filippo III re di Spagna aveva in quel mezzo mandato a Venezia ambasciatore straordinario don Francesco de Castro: il papa sperava che gli otterrebbe condizioni assai più vantaggiose che non i Francesi; ma fu deluso, perocchè il Senato lo accolse e trattò con singolare onorificenza e gli concedette niente. Enrico IV sapute le oscitanze del papa e la sua diffidenza, se ne dolse gravemente col nunzio cardinal Barberini, e mandò al pontefice dicendo, che, poichè non si fidava di lui, egli lo avrebbe abbandonato. Paolo V si trovava in novello imbarazzo; già cominciava ad accorgersi che la Spagna lo tirava di traverso per dominarlo e cavargli decime sul clero; il gran-duca non godeva la confidenza della Repubblica; e gli altri principi d’Italia non erano abbastanza riputati per mescolarsi in que’ maneggi. Altronde avendo sa-