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capo xiii. 269

vivere non mandasse che indulgenze. E si aggiungevano le querele dei popoli di Romagna e della Marca a cui l’interdetto fruttava interrompimento dei traffichi, carezza di viveri, miseria in ogni cosa, laddove nello Stato Veneto regnava la più grande abbondanza. Onde il volgo che non è teologo e che giudica le cause dagli effetti stimava la causa de’ Veneziani giusta, ingiusta e sfavorita da Dio quella del papa, e desiderava che il Santo Padre mettesse fine a un dissidio che giovava niente a lui e affamava i suoi popoli.

Altri, benchè opinassero egualmente che il Sarpi intendesse a separare la Repubblica dalla corte di Roma, misuravano più da lungi la vastità del pericolo. Imperocchè veggendolo persistere immobile nei dogmi cattolici, e puntare solo sulle ragioni di fatto che instituivano la controversia; e la concordia fra il governo e i sudditi; e il piacere con cui osservava quella contesa il mondo: temevano che la separazione di Venezia potesse partorire conseguenze più fatali che non quella della Germania ed Inghilterra. Imperocchè se Venezia conservando le redate fedi circoscriveva l’autorità papale a quel solo primato d’ordine e di associazione noto agli antichi, o la riduceva alle sole cose spirituali, era finita per Roma. Tutti gli altri regni avrebbono voluto imitarne l’esempio: funesto, perchè gradiva ai metropolitani che riacquistavano l’antica indipendenza, ai vescovi perchè ripigliavano la perduta autorità, al minor clero e ai popoli perchè non più angariati dalla ingordigia curiale con spogli, dispense, decime ed altri aggravi, e infine a’ governi perchè diventavano più liberi e signori.