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capo xiii. 267

singolare contradizione dello spirito umano, quelli stessi che vi andavano di rado, ora le frequentavano. La processione del Corpus Domini non fu mai più magnifica, e pareva che Venezia scomunicata fosse diventata più cattolica di prima.

Ciò sconcertava sommamente il papa che sperando di vedere insorgere nella Repubblica la discordia, vedeva invece i popoli devoti, pronti alla guerra, e la più quieta armonia regnare in tutti gli ordini dello Stato. Il Senato non dava segno di voler calare a penitenza; i severi provvedimenti presi contro ai gesuiti, cari al pontefice, indicavano una volontà irremovibile; e alle calde istanze che gli facevano i principi, e più di tutto Francia e Spagna, rispondeva sempre: l’autore degli scandali è il papa, è egli che ha sbagliato, che ci ha fatto ingiuria, lui bisogna consigliare al pentimento e all’emenda: revochi le sue censure e tutto è finito; non è in nostro arbitrio di medicare i falli altrui. In molte angustie versava Paolo V: nissuno lodava il fatto; i principi di accordo lo tacciavano d’imprudenza e di pazzia; il biasimo era universale, fin nella sua corte; i cardinali anzichè consolarlo, lo riprendevano; i cortegiani stavano muti, avviliti; il più prezioso arcano del papato era scoperto e deriso: più l’interdetto durava, e più l’autorità pontificia era in discapito; conciosiachè restasse aperto il campo a discussioni pericolose, dove risalendo all’origine di quella autorità, se ne scopriva sempre più il mandato illegittimo, o l’abuso. Domare i Veneziani colla forza, non si poteva fare se il papa non si rendeva servo alla Spagna, cosa aborrita