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capo xii. 259

non poteva abbandonare il suo posto senza permissione del principe, in quel punto non così facile ad ottenersi; che del resto si dichiarava buon cattolico, e che voleva vivere e morir tale; che i suoi sentimenti non potevano essere meglio conosciuti che a Roma dove era stato tanti anni, e da essi medesimi che lo conoscevano ed avevano prove della sua obbedienza ed attaccamento alla fede: gli pregava adunque a voler prendere in considerazione questi suoi motivi, e a non procedere ingiustamente contro di lui; ma nell’opposto caso protestava in faccia a Dio, e che terrebbe per nulla e di nissuno effetto la loro sentenza.

Gli Inquisitori sentirono la forza di queste ragioni, e quantunque per servire al loro scopo avessero desiderato sentenziarlo eretico e contumace, ebbero paura che il Sarpi a vendetta non facesse qualche mal tiro alla Corte, e non rinovasse in Italia ciò che Lutero aveva fatto in Germania: ricordando che il frate agostiniano si era appunto versato agli estremi per la condannazione di Leone X. Imperciò si contentarono di proseguire una diligente ricerca dei suoi libri e farli abbruciare: segno, diceva il Boccalini, che erano buoni.

Lo stesso riguardo non ebbero per Giovanni Marsilio e pel francescano Frà Fulgenzio, i quali, citati e non comparsi, furono scomunicati. È ben vero che e’ risposero non colla modestia e pacatezza del Sarpi, ma superbamente, in ispecie il secondo.

Non è che i cardinali inquisitori, e nemmeno il papa, credessero a quelle immaginarie eresie; ma