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256 capo xii.

cere e da tutti sommamente applaudita la resistenza de’ Veneziani.

(1606 sett). La Curia, sbalordita da successi così contrari alla sua aspettazione, si appigliò alle consuete sue armi. Fra quanti combattevano i nuovi suoi dogmi, niuno era pel suo sapere, pel suo carattere, per l’influenza, per la inusitata infrangibile qualità degli argomenti usati da lui, più temuto di Frà Paolo, come niun altro era più esaltato. Gli uomini di ambi i partiti si accordavano a crederlo la ruota maestra di quel gran motivo. Frà Paolo adunque fu citato al tribunale del Sant’uffizio. In un paese dove chi si tiene l’autorità, dice di esercitarla per diritto divino, è ben giusto che debba violare tutte le formalità legali prescritte dalle leggi umane. Era già una mostruosità che la Curia dovesse farsi giudice in causa propria; ne era un’altra che il cardinale Bellarmino antagonista di Frà Paolo, e in conseguenza parte interessata, siedesse come giudice nel tribunale inquisitorio, ma persino la citatoria, che gl’inquisitori medesimi sapevano infruttuosa e ridicola e in cui potevano, senza nocumento, ostentare le sembianze della giustizia, vollero che apparisse sotto le forme arbitrarie del dispotismo. Frà Paolo, senza essere udito o difeso, senza essere nemmanco ammonito o richiesto, è giudicato e condannato dal Sant’Offizio; dopo di che viene citato: il pretesto, perchè possa difendersi; ma, poichè la sentenza era già pronunciata e non è uso di Roma di rittrarne alcuna mai, il vero è che lo volevano tirar là, per impiccarlo.