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capo xii. 253

regola di tempi e piuttosto per abbagliare che per provare, curando neppure se siano a proposito: adducono atti apocrifi e falsificano i testi, di che convinti poi dagli avversari si trovano confusi; oppongono alle Sacre Scritture le Decretali de’ papi, agli antichi Padri, i moderni dottori; discorrendo per vie viziose lasciano alla critica un vasto campo di censura, e alla ragione un non difficile trionfo.

Dalla differenza degli scrittori ne nasceva un’altra di agire nei due governi: a Roma proibivano i libri de’ Veneziani, pena la scomunica, il carcere; a Venezia lasciavano girare tutti quelli dei Curiali, e pareva che il governo, come che tanto sospettoso, si compiacesse che il popolo ne facesse paragone.

Tale è la lotta perpetua tra la verità e l’errore. Fintanto che la ragione terrà la sua sede nell’intelletto umano, e che gli uomini non saranno imbecilli al segno di credere tutto che loro si dà ad intendere, sarà pur mestieri a qualunque sociale edifizio che sorge su fondamenti erronei di comprimere con ogni maniera l’ufficio della ragione, cioè d’impedire all’intelletto di speculare sulla natura e l’origine delle cose. Eterno delirio della prepotenza! ma il tempo rinovando con infaticabile vicenda la condizione e gli accidenti del mondo, impelle al pensiero parte del suo moto, gli dà una forza contro la quale non vi è opposizione che valga, fa come una fiamma che comunicandosi continuamente dalla generazione che tramonta a quella che sorge sempre più si amplifica e risplende. Questa fiamma è ciò che modernamente si chiama progresso: invano si oppongono sforzi a sforzi per reprimerlo od ar-