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248 capo xii.

concesse dal principe, ed esso ha tuttavia la facoltà di abrogarle; o dal pontefice, e queste non sono ricevute in alcuni luoghi, in altri solamente in parte, e valgono all’avvenante del beneplacito di chi le riceve, o finchè non tornino pregiudicievoli alla quiete e ben pubblico.

L’infallibilità del papa, continua il Sarpi, è una dottrina incerta, nella quale gl’istessi dottori della Curia non sono bene d’accordo: chi la pone in una cosa, chi in un’altra. L’autorità di sciogliere e di legare s’intende purchè non travii del retto, comandando Iddio che segua non l’arbitrio, ma il merito e la giustizia della causa. E però nelle controversie del pontefice coi principi, se quello fulmina censure, è lecito a questi di certificarsi col consiglio di persone dotte se sono giuste o ingiuste, e nell’ultimo caso impedirne l’esecuzione conservando nondimeno la debita reverenza alla Chiesa. Comunque sia, le scomuniche contro ai supremi dello Stato o contro le moltitudini sono, secondo Sant’Agostino, perniciose e sacrileghe. L’obbedienza cieca, invenzione de’ gesuiti, ignota alla Chiesa e ai buoni teologi, leva l’essenziale della virtù che è operare per certa cognizione ed elezione, espone a pericolo di offender Dio, non iscusa l’ingannato dal principe spirituale, ed è partoritrice di sedizioni.

I pontificii spacciavano massime affatto opposte, e così esorbitanti che forse più d’un lettore stenterà a crederle; ma sappia a mia giustificazione che le ho estratte parola per parola dai loro libri, e se a verificarle non ama rivoltarne molti, non ha che a percorrere il breve opuscolo del Bellarmino contro