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238 capo xii.

nella giurisprudenza, nel diritto canonico e nella teologia, protestò essere quell’anatema indebito, irrito, nullo:» l’anonimo chiosatore scrive in margine queste benevoli espressioni: «Quasi tutti quei consultori erano insigni per apostasia o per ateismo, ovvero infami per altri gravissimi delitti; perchè banditi altrove e rifuggiti a Venezia colsero occasione per vomitare impudentemente contro il vicario di Cristo il veneno che sorbirono dai ricettacoli de’ Veneziani. Vi erano ancora quei sette frati (se ne togli uno o due che erano preti) antesignano dei quali era quel Paolo Servita che con scaltrita ipocrisia si era acquistata la benevolenza di tutto il Senato, e che disse ogni pazzia contro il pontefice; e nemmanco si astenne dalle opinioni dannate per difendere alla meglio che poteva la causa della Repubblica».

Non volle essere da meno il Bellarmino, che nella sua risposta taccia il Sarpi di falsario, ipocrita, ignorante, maligno, adulatore luterano, calvinista, uomo che odia la luce, che si nasconde, che ha vergogna a palesare il suo nome e quello dello stampatore perchè sa quante falsità ed errori siano nell’opuscolo da lui pubblicato: ingiurie fuor di proposito e poco atte a conciliarsi la fiducia del pubblico, ed anco disonorevoli a chi le scriveva. O il Bellarmino conosceva il traduttore del Gerson, ed ei parlava contro sua coscienza, avendo sempre portata opinione onorevolissima di Frà Paolo; e in appresso, vergognando il passato, fece ogni tentativo per riconciliarselo: ma qui ricordo per anticipazione che emendò que’ fanatici sfoghi con tratti gene-