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224 capo xi.

sigliero pacifico e ai Veneziani favorevole. Il quale fece un discorso il cui preciso tenore è questo: Che il ministerio di Pietro ha due parti; l’una di pascere le pecore, l’altra di ammazzarle e mangiarle; che questo ammazzamento non è crudeltà, ma atto pietoso, perchè è vero che perdono il corpo, ma poi salvano l’anima. Riprendeva il Santo Padre di troppo lunga pazienza, gli mostrava che bisognava fare in fretta. E poi gongolando di gioia per quel religioso macello, diceva parergli che rinovassero i bei tempi di Gregorio VII e di Alessandro III, ambi di Siena come Paolo V, i quali prostrarono quegli iniquissimi Enrico e Federigo imperatori; e finiva con un vaticinio di trionfo, il quale, malgrado lo spirito profetico del cardinale, non si avverò.

Il papa persuaso da così luminose ragioni, o piuttosto persuaso anco senza di loro, pubblicò il monitorio; nel quale diceva che il doge e Senato e repubblica di Venezia per aver fatto tali e tali leggi che proibivano nuove fondazioni di chiese, monasteri, ospedali, e nuovi acquisti ai cherici per donazione per testamento od altro; e per aver fatto imprigionare il canonico Saraceno e l’abate Brandolino costituiti in dignità ecclesiastica: tutte cose contrarie all’onor di Dio, di scandalo al mondo, e in dannazione dell’anima; perciò dichiarava per autorità di Dio, di San Pietro e Paolo e sua propria che se fra 24 giorni non rivocavano quelle leggi e non consegnavano al suo nunzio i prigioni, fossero incorsi nelle scomuniche fulminate dalla Santa Madre Chiesa contra gli empii violatori delle immunità ecclesiastiche; e se tre giorni dopo que’ 24 giorni