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capo xi. 219

pa paura. Del resto bisogna avere un gran prurito di malignare le intenzioni del prossimo per supporre che il Sarpi fosse mosso da spirito di vendetta, per non essere stato fatto vescovo, a impugnare le pretensioni della Curia romana; essendochè lo stesso spirito bisognerebbe supporre negli altri molti che in quel medesimo ufficio concorsero. Fa poco onore al carattere dei preti la troppo consueta accusa che tale o tale diventò eretico o scismatico per ciò solo che non conseguì una ambita dignità cospicua della Chiesa; il che significherebbe che ordinariamente gli ecclesiastici nella scelta delle loro opinioni non tanto consultano la coscienza quanto la vanità, e che sono credenti od increduli a seconda dell’utile. Non sempre le azioni degli uomini derivano da motivi interessati; che anzi talvolta vi ha parte la fortuna, e tal altra sono l’effetto naturale di una catena di casi impreveduti dalla umana volontà, come appunto avvenne a Frà Paolo. Il quale conosceva benissimo i pericoli a cui si metteva incontro; ma la vanità anco più leggiera non avrebbe potuto presumere l’alta fama che doveva riportarne: e la diffidenza con cui si mise in su quel cammino mostra il poco desiderio che aveva di implicarvisi, e che vi fu trascinato suo malgrado dalle circostanze. Rispetto alla pretesa sua animosità contro Roma, niente è più giusto di quanto si legge in un lettera, malamente attribuita al Boccalini, che in quei dispareri Frà Paolo «ebbe sempre lo studio più in quello che conveniva tacere che pubblicare; e benchè irritato dalle persecuzioni di un pontefice nemico e di tutti insieme gli