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216 capo xi.

sempre suo costume, nei casi gravi, di sentire un consultore in diritto: due ne aveva allora in carica, e un terzo chiamato ad occasione, ma era necessario un teologo e canonista, onde guidarsi in modo da difendere i suoi diritti senza lasciarsi cogliere in fallo. Elessero Fra Paolo, già noto per altri servigi prestati alla Repubblica, e in cui oltre al sapere si aggiungevano fama, illibati costumi e religione severa, e che essendo stato a Roma più volte era pratico degli usi di quella Corte, stimato da personaggi illustri della medesima, e per la sua integrità rispettato, amato e riverito dal clero e dal popolo.

Fin dai primordi della controversia era stato consultato privatamente, ed egli per essere più a portata di giudicare della cosa, scrisse a Trajano Boccalini suo amico che aveva impiego in corte di Roma, acciò lo informasse dell’umore di quella e del papa in particolare; il quale a’ 22 novembre 1605 rispose: Che Paolo V era pontefice di angelici costumi e di animo retto, ma soverchiamente infatuato delle prevenzioni di curia, e dal pensiero di condurre la Sede Apostolica a suprema monarchia; nel che, soggiungeva, troverà forse più intoppi che egli e i suoi cortegiani non credono. La Corte e il papa sdegnatissimi contro la Repubblica e la Chiesa Gallicana perchè ogni giorno tarpavano le ali all’autorità della Corte. Il pontefice essere determinato di usare gli estremi; e quand’anco non vi fosse portato da sè, bene innanzi lo spingevano i cherici, molti de’ quali odiavano la Repubblica, e di cui nissuno allora se ne trovava che da mattina a sera