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212 capo xi.

ancor tempo: che concedesse le solite decime sui clero; rispose, volerci pensare: e infine che dispensasse il patriarca Vendramin (era morto in quel torno Matteo Zane) di andare a Roma; rispose negando.

Dal canto suo la Repubblica negava di sborsar denari per la continuazione della guerra di Ungheria contro i Turchi, e di abolire una sua legge recente intorno alla tratta degli olii e alla navigazione nell’Adriatico con vascelli non veneziani o per conto di compagnie veneziane stabilite fuori di Stato, il che imbarazzava in certo qual modo il commercio delle vettovaglie portate nei dominii della Chiesa. La Repubblica aveva ragione perchè quelle compagnie erano sutterfugi degli esteri di accordo con Veneziani per eludere le dogane venete; il papa non aveva torto, e o poteva domandare mitigazione o suggerire un altro rimedio; ma l’affermare che lo Stato ecclesiastico era sacro, e che l’impedirgli per legge doganale le vettovaglie era un peccato contro la Chiesa, era un’assurdità un po’ eccessiva anco per un papa.

Ma quello di che più si offendeva erano due leggi: l’una antica del 1357, rinovata nel 1459, 1515-36-61 e confermata nel 1603, prescriveva che non più, senza licenza del governo, si erigessero chiese, ospedali o monasteri, o s’instituissero nuovi ordini religiosi, sotto pena di esilio alle persone, ed infiscazione della fabbrica e del fondo. L’altra del 1333 confermata, per la città e ducato di Venezia, nel 1536, ed estesa a tutto il dominio veneto nel 1605, vietava, sotto gravissime pene, i nuovi acquisti al