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capo x. 205

la minima ingerenza nella cosa pubblica, anzi essendo egli medesimo contenuto da leggi severissime e impreteribili, la potestà laica si trovava in una piena indipendenza, e la sua volontà, libera da ogni ostacolo. Alla quale sola essendo il popolo avvezzo ad obbedire, nè il clero potendo reagire in senso contrario, ne proveniva il beneficio, raro a quei tempi, di un consenso tra il governo e i sudditi.

Anticamente la Repubblica nominava essa alle dignità episcopali, cui poi confermava il pontefice; ma quel diritto lo perdette durante la lega di Cambrai per trattati con papa Giulio II. Tentò rivendicarlo sotto Clemente VII, ma dopo varie controversie colla corte di Roma cedette a patto che i beneficii fossero dati a sudditi veneziani. Ciò nondimeno si riservò sempre la nomina delle sedi patriarcali di Venezia ed Aquilea, i vescovadi di Ceneda, Torcello, Chiozza, Caorle, Scardona e Macarsca, il primiceriato e il capitolo di San Marco di juspatronato del doge, e più altri beneficii; e si riserbò eziandio un diritto più sostanziale, e fu che nissun beneficiato, tranne quelli a cui nominavano congregazioni monastiche, potesse entrare nel possesso temporale del beneficio senza esservi autorizzato dal governo, a cui pagava una tassa in proporzione delle rendite: la qual cosa significava nella massima dei Veneziani, che i beni della Chiesa erano soggetti al governo temporale; i quali beni pagavano eziandio un tributo chiamato la decima, e un magistrato apposito la esigeva. Ma per consuetudine stabilita non potevano esser gravati straordinariamente senza il beneplacito di Roma, intorno a che non sempre la repubblica si mo-