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144 capo ix.

dicando incompatibile a un principe cristiano di essere sommo sacerdote degli idolatri. Non così delicati furono i vescovi di Roma: i gentili fino dai tempi di Ammiano Marcellino gli chiamavano pontefici massimi de’ cristiani, ed e’ non ricusarono un titolo che inferiva a grandezza e a potenza. Di fatti la pubblica opinione assueta a confondere il ponteficato colla dignità imperiale si avvezzò a considerare il vescovo di Roma rispetto a’ cristiani, pari a ciò che era l’imperatore rispetto a tutti gli altri; e in progresso di tempo i papi volendo ragguagliarsi alla dignità imperiale, usurparono i titoli di santità e di santissimi propri solo degli angusti, e quindi anco la porpora, la clamide, la stola, il cingolo e altre insegne.

D’altra parte Roma era il centro dell’imperio, la sede del comando, e come se le altre città non fossero che suoi sobborghi essa sola era chiamata semplicemente Urbs, la Città; e fosse anco a’ confini della Persia, quand’uomo diceva la Città, intendeva Roma: negli storici di quel tempo o negli editti degl’imperatori è quasi sempre indicata colla antonomasia di Città eterna, o di Città signora. Era eziandio la città santa de’ pagani e de’ cristiani; e prevaleva fra gli ultimi una profezia di cui parlano spesso i Padri della Chiesa, che colla fine della Città sarebbe finito il mondo; a tal che quando fu presa e saccheggiata da Alarico nel 408 fu universale lo spavento, e San Gerolamo atterrito scrisse essere vicino il giorno finale.

Premesse queste notizie, ricordo ciò che dissi altrove, che il governo ecclesiastico imprestò le sue