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capo viii. 133

giungesse ampiezza di sapere. Non era forse alieno dallo inalzarlo e renderselo benevolo, molto più che lo conosceva personalmente e lo stimava; ma avrebbe voluto che il beneficio lo riconoscesse dalla Santa Sede, e dargli l’episcopato nello Stato Pontificio o in luogo dipendente da Roma. Infine dopo circa sei mesi di lungherie, pressato dal Mocenigo, diede una di quelle risposte ambigue così facili a Roma, che pareva favorevole e poteva essere contraria. Su questo appoggio il senato con suo dispaccio del 17 aprile 1602 mandò all’ambasciatore perchè raccomandasse ufficialmente Frà Paolo al pontefice. Ma le antipatie di lui non erano le sole cui conveniva superare. I gesuiti odiavano cordialmente il Sarpi per le consultazioni da lui fornite alla congregazione de Auxiliis, e per le sue opinioni a loro contrarie. Quindi i gesuiti di Venezia tennero all’erta quelli di Roma, gl’informarono della qualità dell’uomo e dei pericoli di vederlo inalzato a dignità cospicua, e della necessità di attraversarlo con tutti i mezzi possibili. E quantunque non fossero amati da Clemente, erano potentissimi in Corte, e al mal fare trovarono ausiliarie le invidie di alcuni confratelli di Frà Paolo, e il mal talento del nunzio Offredi, che a sostentare le antecedenti menzogne altre ne aggiunse: tanto che per tutti questi motivi il Sarpi fu escluso nuovamente. Consueta sorte de’ principi di dovere troppe volte obbedire ad impulsi estranei al loro cuore, contrari al loro interesse, e di cui non sanno presagire le conseguenze.

Le dignità avevano per vero poche lusinghe sull’animo di Frà Paolo, cui vedemmo fin dalla prima