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112 capo vi.

si fece nominare definitore, e nella prima carica gli succedette Arcangelo Piccioni, altro nemico del Sarpi: ambi andarono al Capitolo; ma i frati del partito contrario, che assolutamente non volevano il Dardano per loro capo, sollecitarono Frà Paolo che vi andasse anch’egli, e trovasse via di accordo, altrimenti non sarebbe più finita. Ciò egli sentiva benissimo; ma gli facevano paura le mene dei due frati nemici, quella tal lettera in cifra e lo sdegno del cardinal protettore. Gli amici ne lo confortavano, appoggiandosi alla antica benevolenza del medesimo, e alle graziose lettere scrittegli più volte e anco di recente. Allora il Sarpi ricordò facetamente l’apologo del leone che aveva chiarito guerra a tutti gli animali cornuti, il che sentendo la volpe, si nascose dicendo: Se il leone vuole che le mie orecchie sieno corna, chi vorrà contradirgli? Pure risolse l’andare, ma ben fornito di commendatizie per l’ambasciatore veneto e prelati di corte. N’era anco sollecitato dal Bernerio cardinale d’Ascoli, suo vecchio amico, da lui già conosciuto a Mantova quand’era inquisitore, ed ora della Congregazione del Sant’Offizio; il quale lo assicurava che avrebbe trovato in Roma la migliore accoglienza.

Infatti il Santa Severina lo ricevette molto benignamente, e solo si lagnò che avesse favorito con troppo calore il general Lelio; intorno a che il Sarpi essendosi giustificato in modo che il cardinale ne fu contento, questi volle riconciliarlo con Gabriele; al quale tuttavia non riuscì di essere generale, opponendosi non pure Veneziani e Lombardi, ma i Fiorentini ancora, e chi proponeva uno e chi un altro