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capo vi. 107

duca Enrico di Gioiosa, il pontefice sapendo quanto Frà Paolo fosse profondo teologo, volle che anch’egli intervenisse. Quel principe all’età di 20 anni, per disgusto della perdita di una sposa da lui caldamente amata, si fece cappuccino nel 1587. Cinque anni poi, morto suo fratello, unico erede maschio della casa, chiese al papa dispensa di secolarizzarsi; e il papa ne commise l’esame ad una congregazione di cardinali e teologi, i quali spropositarono tante esorbitanze sulla sconfinata potestà pontificia, che il Bellarmino, rivolto a Frà Paolo, disse sotto voce: «Queste sono le cose che hanno fatto perdere la Germania, e lo stesso faranno della Francia e di altri regni». Ma quel prelato non fu conforme a sè stesso, perchè da poi scrisse anch’egli esorbitanze simili, se non anco peggiori. Infine i rispetti umani, le raccomandazioni della corte di Francia, e l’influenza del cardinale di Gioiosa, fecero sortire la dispensa verso la fine di quell’anno 1592. Tornò alla professione dell’armi, alcuni anni dopo s’incappuccinò di nuovo, e morì a Torino nel 1609 per strapazzi di un pellegrinaggio a Roma fatto di verno e a piedi.

Il Santa Severina, a cui piaceva l’ingegno e la probità di Frà Paolo, volendo da una parte guadagnarselo e dall’altra levarsi col beneficio questo impedimento a’ suoi disegni, temendo non fosse egli, invece del Dardano, proposto e sostenuto a generale de’ Servi, fece ogni possa per trattenerlo presso di sè; e non riuscendo, l’anno appresso (1593) gli scrisse di suo pugno avvisandolo che lo aveva raccomandato al pontefice per farlo vescovo di Milo-