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sulla «storia letteraria» del bouterweck 97

sommi d’Italia è poesia nazionale nello spirito del secolo in cui essi vivevano.

Pei poeti del Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento non fu poco imbarazzo quello in cui li metteva da un lato la venerazione entusiastica ch’erano tentati di tributare alle cose degli antichi allora scoperte, e dall’altro la inconvenienza di ripeterne servilmente le forme estetiche. La critica di que’ tempi, debole troppo, non bastò sempre a preservarli dalla cieca imitazione, alla quale pareva che dovesse indurre tutti gli intelletti educati alle scuole la maniera con cui spiegavasi la Poetica d’Aristotile, considerandola come un corpo di leggi assolute ed obbligatorie quanto quelle di Giustiniano. Come nel restante d’Europa, cosí anche presso gli italiani, specialmente del Seicento, non mancano esempi di cieca imitazione degli antichi. Ma tutti siffatti esempi, considerati come poesia, sono tutti miserabilissime cose, dall’Italia liberata del Trissino e dalla sua Sofonisba giú fino alle pedanterie di minor momento.

Per lo contrario in Italia chi ebbe in sé anima veramente poetica, sentí sempre, anche senza averla spiegata teoricamente a se medesimo, la differenza essenziale che vi ha tra la poesia romantica, cioè quella derivante dallo spirito della nuova civilizzazione, e la poesia degli antichi; e mostrò d’avere compresa l’essenza dell’una e l’essenza dell’altra quando accolse come piú inerenti al proprio intendimento poetico i costumi del suo secolo e della sua patria; e studiando daddovero gli antichi, pensò non esser conveniente il sagrificare alle lor forme poetiche le forme nuove, le quali erano piú conformi allo spirito della nuova poesia. Dante adorava Virgilio come se fosse un ente santissimo. Eppure a Dante non venne, no, in capo la tentazione di lavorare un poema eroico nella maniera di Virgilio. Il Petrarca era oltre ogni dire invaghito de’ classici antichi tanto quanto della sua Laura. Ma il Petrarca cantò il proprio amore com’ei lo sentiva, nobilitando le maniere de’ provenzali. L’Ariosto studiò Omero, ma volle a bella posta riescir diverso affatto da Omero. E finanche il Tasso, il Tasso medesimo non ardí spignere a tanto la imitazione del poema