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appena qua e lá sfavillano alcuni pochi lampi di giusta inspirazione, crediamo di dovere avvertire il lettore studioso che, a volere ricercare la vera origine, le prime e vere tracce d’ un ’ingenua e sentita poesia in Ispagna, gli bisogna rivolgersi a tutt’altro armadio.

Altri cantori, sconosciuti di nome, ma fortemente commossi dal desiderio di celebrare le glorie nazionali, il puntiglio dell’onore, la lealtá, la opposizione magnanima de’ loro concittadini alla violenza straniera, i fatti de’ forti nelle tante battaglie contra i mori, ecc. ecc., servirono con alacritá spontanea alla voce dell’amor patrio ed all’entusiasmo del popolo, tessendo brevi racconti armoniosi di avventure guerriere o dando un lirico sfogo al sentimento dell’ammirazione. Di qui la grande quantitá di «canzoni popolari» e di «romanzi» (o «romanze») cavallereschi od istorici, ne’ quali principalmente risuonano le lodi del Cid Campeador, se non con leggiadria assoluta di versi, almeno almeno con veritá di espressione. E troviamo in essi un caldo muovimento d’affetti, che si desidera invano nelle opere de’ loro poeti contemporanei, rammentati piú sopra da noi, e invano talvolta anche ne’ quattro canti del famoso poema di cavalleria, V Amadigi, composto in lingua spagnuola dal portoghese Vasco Lobeira verso il principio del secolo decimoquarto.

Ogni spagnuolo accompagnava allora con la sua chitarra le semplici «coplas» d’un inno al valore; ogni madre insegnava alle sue fanciulle la storia d’un prode, secondo che l’aveva udita narrare da un qualche poeta. Anche la gentilezza dell’amore, anche la cortesia verso le donne somministrava materia a bilicate od a flebili melodie. E la pietá, facendo tacere per alcun momento gli odii nazionali, non negava una lagrima poetica neppure a Zayda e a Balaya, belle e sventurate amanti di principi moreschi.