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XXII. QUADRO STORICO DELLA POESIA CASTIGLIANA 205

piú turpi, mediante i quali ei s’era arricchito. Se le monete fatte battere dal re Alfonso erano di si bassa lega come i suoi versi, bisogna dire che egli fosse un gran ladro.

Tuttavolta, ove lo zelo messo da lui nel promuovere le lettere fosse stato di lunga durata ed imitato dai re successori, la poesia spagnuola, col rammentarci l’antichitá de’ suoi natali, non farebbe sentire vieppiú la lentezza de’ propri passi verso la perfezione. Ma ella ebbe contro di sé la natura feroce dei tempi.

Negli ultimi anni di Alfonso cominciò ad ardere la guerra civile; e questa quasi senza interruzione infuriò per un secolo intero, fino a giungere all’estremo dell’atrocitá e dell’orrore durante il regno burrascoso di Pietro il crudele. In quella miserabile etá pareva che i castigliani non avessero anima che per abborrire, non avessero braccia che per distruggere. Però la poesia pochi ebbe che la coltivassero allora: i piú erano intenti alle opere della spada e non della penna. Giovanni Ruiz, arciprete di Hita; l’infante don Giovanni Manuele, autore del Conte Lucanor\ l’ebreo don Santo, e Ayala il cronista: ecco lo scarso numero de’ poeti d’allora.

Fra le poesie di questi quattro autori è fatica perduta il volere rintracciare un’occasione di diletto estetico un po’ prolungato. Quelle dell’arciprete sono, tanto o quanto, le piú degne d’essere conosciute dai filologi. Hanno per argomento la storia degli amori di esso arciprete, mista di apologhi, di allegorie, di novelle, di frizzi, di satire, ed insieme di cose di religione; e vi trovi, con istrano abuso di personificazioni, condotti a comparsa certi personaggi che non ti saresti mai figurato di veder camminare sulle gambe; come a dire, donna Quaresima, don Digiuno, donna Colazione, don Di di grasso e, insieme a questa bella brigata, anche l’illustrissimo don Amore. Le forme estrinseche di tali poesie vantaggiano di poco quelle messe in mostra da’ poeti anteriori.

Nell’atto che abbandoniamo agli scaffali delle biblioteche od alla curiositá degli eruditi ed alle meditazioni del filosofo tutte siffatte anticaglie, dalle quali, attraverso a un nuvolato interminabile d’inezie puerili, d’invenzioni e lepidezze fratesche,