Pagina:Berchet, Giovanni – Scritti critici e letterari, 1912 – BEIC 1754878.djvu/201

XXII. QUADRO STORICO DELLA POESIA C ASTIGLI AN A 203

Nel secolo susseguente vissero due poeti, le opere dei quali lasciano apparire giá alcuni progressi fatti dalla lingua. Don Gonzalo de Berceo e Giovanni Lorenzo Segura, l’uno nelle sue poesie sacre in versi alessandrini, l’altro nel suo poema De Alexandro magno , superarono anche di qualche grado l’arte del cantore del Cid. Quelle del primo, per altro, non sono che preghiere, regole fratesche, leggende di santi, che manifestano nell’autore il monaco benedettino piú che il poeta. Nel poema del secondo, ciò che occorre di piú bizzarro alla considerazione del filosofo, è la vita di Alessandro il grande, descritta con colori cavallereschi; è il vedere trasportati in essa sul serio i costumi, i sentimenti, i pregiudizi spagnuoli. Forse, come dice il signor Sismondi, l’ignoranza assoluta dell’antichitá fece ricorrere il poeta a ciò che gli era noto per descrivere ciò che gli era ignoto. E forse (è un dubbio nostro) Giovanni Lorenzo venne condotto a tale traviamento da un barlume indistinto di quella veritá psicologica, che insegna non potere essere sommamente efficace la poesia, se non è in accordo colle idee e colle circostanze de’ tempi ne’ quali vive il poeta. Giovanni Lorenzo non era abbastanza filosofo per potere interpretare saviamente questo impulso del vero genio poetico, non era abbastanza educato ai confronti storici per doversi sentire offendere dalla dissonanza tra due civilizzazioni, greca e spagnuola: e però, secondando cosi inconsiderata obbedienza la necessitá d’essere moderno, condusse con accessorii ricavati dal mondo a lui presente un poema d’argomento non moderno, ma antico; e fece cosi un guazzabuglio, che accusa la contemporanea stupiditá della critica e muove a riso finanche la gravitá de’ maestri di lettere.

Ma qui, se ci è lecita una digressione, vogliamo assumere gravitá anche noi, e rivolgerci proprio con un testo di Orazio a taluno che ride del guazzabuglio di Giovanni Lorenzo.

«E di che ridi tu? Cambiato che sia il nome, il discorso va a ferir te» b). E infatti non è egli un guazzabuglio altrettanto ridicolo il tuo, quando in argomenti moderni vai intarsiando sentimenti

(1) «Quid ridesf», ecc. ecc.