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ii. lettera semiseria di grisostomo 11

teatro di Shakespeare, prossima allora ad uscire in Firenze. Il signor Leoni ha ingegno, anima, erudizione, acutezza di critica, disinvoltura di lingua italiana, cognizione molta di lingua inglese, tutti insomma i requisiti per essere un valente traduttore di Shakespeare. Ma il signor Leoni l’ha sbagliata. I suoi versi sono buoni versi italiani. Ma che vuoi? Shakespeare è svisato; e noi siamo tuttavia costretti ad invidiare ai francesi il loro Letourneur. E sí che il signor Leoni bastava a smorzarcela affatto questa invidia!

Di quanti altri puntelli potrebbesi rinfiancare questo argomento, lo sa Dio. Ma perché sbracciarmi a dimostrare che il fuoco scotta? Chi s’ostina a negarlo, buon pro per lui!

E non occorre dire che la lingua nostra non si pieghi ad una prosa robusta, elegante, snella, tenera quanto la francese. La lingua italiana non la sapremo maneggiare con bella maniera né io né tu, perché tu sei un ragazzotto ed io un vecchio dabbene e nulla piú; ma fa’ ch’ella trovi un artefice destro, ed è materia da cavarne ogni costrutto. Ma questa materia non istá tutta negli scaffali delle biblioteche. Ma non lá solamente la vanno spolverando que’ pochi cervelli acuti che non aspirano alla fama di messer lo Sonnifero.

In Italia qualunque libro non triviale esca in pubblico incontra bensí qua e lá qualche drappelletto minuto di scrutinapensieri, che pure non lo spaventano mai con brutto viso, perché genti di lor natura savie e discrete. Ma poveretto! eccolo poi dar nel mezzo ad un esercito di scrutinaparole, infinito, inevitabile e sempre all’erta e prodigo sempre d’anatemi. Però io, non avuto riguardo per ora alla fatica che costano i bei versi a tesserli, confesso che qui, tra noi, per rispetto solamente alla lingua, chiunque si sgomenta de’ latrati dei pedanti piglia impresa meno scabra d’assai se scrive in versi e non in prosa. Confesso che per rispetto solamente alla lingua e non ad altro, tanto nel tradurre come nel comporre di getto originale, il montar su’ trampoli e verseggiare costa meno pericoli. Confesso che allo scrittore di prose bisogna studiare e libri e uomini e usanze; perocché altro è lo stare ristretto a’ confini determinati