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Alcuni de’ piú giovani. Noi, noi, o balordo. A noi non importa né dell’India, né di dramma, né di unitá. Importa bensí che nessuno ci faccia il dispetto di parlarci di cose alle quali non abbiamo pensato noi prima. Piú dotti di noi non si può né si debbe essere. Addio; discorrila, se ti piace, colle panche, ma non con noi. Ed affettando uno scherno svenevole, partono a rompicollo, borbottando altre parole che non sono intese.

UNO DE* VECCHI RIMASTI dá segni di contentezza ed esclama: Benone! Siamo finalmente tra di noi. «Poca brigata, vita beata»!

Un altro lettore. Non dite cosi, altrimenti la beatitudine non è per noi. I pochi sono i disertori;... qui siamo in molti e molti assai.

Un altro. E, a quel che pare, tutti buoni amici.

Grisostomo. Me ne consolo... Non parte piú nessun altro?

Tutti. Nessuno, nessuno. Vogliam tutti rimanerci. Parla dunque.

Grisostomo. Mille grazie! Ora, signori miei, è egli vero che tra voi v’è alcuno che, prima di leggere il numero 25 del Conciliatore, non aveva mai udito parlare del dramma indiano La Sacontala ed or vorrebbe che se gliene desse qualche ragguaglio ?

Molti. Oh! lo conosciamo da un pezzo quel dramma.

Molti altri. Noi, a dirla schietta, non ne sappiamo niente.

Grisostomo. Mi sia lecito dunque parlare a chi non ne sa niente.

Tutti. Parla, parla; vogliamo essere indulgenti tutti, e lasciarti dire.

Grisostomo. Sappiate dunque che la poesia, non essendo un diritto esclusivo di alcune poche famiglie di uomini, bensí un vero bisogno morale di tutti i popoli della terra ridotti a qualche civiltá, anche nell’ Indostan trovò giá da secoli e secoli chi la coltivasse (0 .

(1) Qui si parla di quella poesia che è arte ispirata dal bisogno e dal sentimento del bello; non giá di quella poesia naturale, cosi detta dal Vico e da altri filosofi, la quale consiste nel fingersi favole di dèi o di spiriti credendole vere, e fondando cosi l’idolatria; nel credere che i corpi fisici, alberi, nuvole, ecc. ecc., sieno animati ; nel parlare per interiezioni, suoni imitativi, ecc. ecc.