Pagina:Berchet, Giovanni – Scritti critici e letterari, 1912 – BEIC 1754878.djvu/109


viii. di un libro sulla romanticomachia 107


Del buon gusto di lui sia prova il seguente passo, tolto alla ventura dalla pagina 14. È una invocazione; perché senza invocazioni non si può far nulla di buono:

O immenso e non sempre lucido specchio della storia, da cui tutte, bene o male, si riflettono le accolte immagini dei grandi e piccoli eventi, concedi per poco che, nell’ampio e disuguale tuo seno fissando gli occhi, io giunga a scoprire del fatale romanticismo l’annebbiata sorgente ed i tortuosi meandri. Cosí forse mi succeder di potere dal vero genere romantico discernere il falso sistema, che ne usurpa, in un col nome, la gloria.

E qui sappia tra parentesi il lettore che l’anonimo fa una distinzione tra il vero genere romantico ed il romanticismo; distinzione che deve essere una bellissima cosa, dacché noi non sappiamo intenderla.

Per tenere il nostro articolo in giusta armonia col libro di cui si tratta, noi non entriamo in materia e stiamo superficiali, superficialissimi. Questo astenerci dalle soperchierie ci è suggerito dalla buona creanza. Grati noi per altro al paciere torinese pel lodo od arbitrato con cui trasse a fine le discordie letterarie, lo preghiamo di accettare, secondo che si usa in tali casi, come pagamento della sentenza, o, se piú gli piace, come regalo, senza obbligo di sborsare mancia veruna allo staffiere che glielo presenta in nome nostro, le quattro seguenti notizie letterarie, delle quali, quantunque vecchiette, abbiamo veduto nella Romanticomachia essere egli ignaro affatto. Il sapiente torinese mostra d’aver dato retta a tutte le accuse gratuite che i classicisti fecero a’ romantici, e d’essere stato contento a quelle, senza degnarsi di dare uno sguardo agli scritti di questi.

I.—I romantici stimano molte parti delle poesie attribuite ad Ossian, ma non ne hanno mai consigliata l’imitazione.

II.—I romantici non vogliono nelle poesie dei moderni gli dèi d’Omero, ma proscrissero sempre altresí quelli dell’Edda. E se amano di vedere nell’Ariosto ed in Shakespeare le maghe e le streghe, non suggerirono mai a’ poeti viventi di ammetterle ne’ loro canti, quando non sieno piú vive nella credenza del popolo.