Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Elegia in morte di un cane arrabbiato (dal capo xvii del Vicario di Wakefield di Oliviero Goldsmith) Venite ad ascoltar la canzon mia; e s’ella è corta, a mal non ve ’l recate, ché piú presto cosi n’andrete via. Buone genti, convien che voi sappiate come qualmente in Iselin vivea indiebusilli un uom pien d’onestate. Un santerello il mondo lui credea, e per ver non a torto, ogni qualvolta inginocchiarsi a Dio lo si vedea. Nel suo tenero cor di pietá molta per amici e nemici egli sentiva; anima in somma a far del ben rivolta; ch’ogni mattina, quando e’ si copriva del suo giubbone, si potea ben dire che l’ignudo pitocco egli vestiva. Nella sua terra si solean nodrire a iosa i cani; e botolin, molossi, bracchi e barboni vi s’udian guaire. Uno di quelli in amistá legossi coll’uom dabbene, e compagnia gli tenne, finché una lite tra di lor levossi; d’onde il mastino a tal pazzia divenne, che al buon amico rivolgendo i denti, ispresso un morso gli appiccò solenne. Piangeva l’altro; e al suon de’ suoi lamenti sbigottito usci fuora il vicinato, e d’ogni parte accorsero le genti, e gridarono: — Ahi pazzo, ahi cane ingrato, bestia arrabbiata che non hai cervello, perché mordere un uom si bencriato? —