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poesia su fatti della storia inglese; e la storia inglese poco è tra noi comunemente conosciuta.
L’altro, e forse più vero, è l’inespertezza mia giovanile che, per quanta voglia avess’io di far bene, mi avrà pur tratto a far male.
Al primo motivo ho procurato di rimediare con alcune note a rischiarimento de’ passi istorici poste ove mi pareva che il bisogno parlasse: senza però entrare in note che citano coincidenze di modi e pensieri d’altri poeti col mio, ed illustrandone e magnificandone il bello, servano ad uno sfoggio di erudizione; perchè sommamente in queste difficile la temperanza, avrei temuto di sobbissarvi il mio testo. D’altronde qualunque dotto lettore, che la fortuna potesse concedere a questo mio libretto, vi farà colla mente quelle note che maggiormente si adattano al di lui genio: per i più le note anche eterne non fanno mai nulla.
Non trovo rimedio al secondo motivo, fuori che quello di desiderare dal fondo del cuore a Tomaso Gray un ingegno amante del bello, che regali l’Italia di una traduzione del suo Bardo, e lo rifaccia così de’ torti, dei quali io per avventura mi sarò fatto reo innanzi a lui. La viva brama ch’io nutro d’essere ammaestrato e corretto mi fa replicar questi voti.
Non istanze d’amici, non impulso di mecenati, non comando di persona autorevole, non alcun furto infine grazioso che mi sia stato fatto de’ miei scritti, fa comparire alla luce questo tenue lavoro. Ma un certo desiderio di far partecipe, se tanto mi giova sperare, a chi non sa l’inglese, il piacere da me provato alla lettura di questa classica poesia, mi ha indotto a vincere quel ribrezzo che ognuno sente nel pubblicare per la prima volta alcuna sua cosa.