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I PROFUGHI DI PARGA
Vano è il pianger, schernito è il richiamo:
giá il vegliardo dell’empia Giannina
co’ suoi mille avanzarsi veggiamo;
giá giá tolta all’ inflessa vagina
sfronda i cedri del nostro terreno
l’insultante sua sciabla azzurrina.
Egli viene: dal perfido seno
scoppia il gaudio dell’ira appagata;
la bestemmia è sul labro all’osceno.
Non è il forte che sfidi a giornata;
è il villano che move securo
a sgozzare l’agnella comprata.
Ah! non questo, o britanni, è il futuro
che insegnavan le vostre promesse;
questi i patti, o sleali, non furo.
Pur, quantunque deluse ed oppresse,
le mie genti al superbo ottomanno
non offrir le cervici sommesse.
Un sol voto di mezzo all’affanno,
un sol grido fu il grido di tutti:
— No, per Dio! non si serva al tiranno. —
Quindi al crudo paraggio condutti,
preferimmo l’esiglio. Ma questi
ch’oggi tu m’ hai scampato dai flutti,
fin d’allora in suo cor piú funesti
fea consigli, e ne’ sogni inquieti
io, vegghiando, l’udia manifesti
darmi i segni de’ fieri segreti.
Ma i sonni prolungansi,
l’affanno cessò;
le membra trasudano,
il cor si calmò.
Serene le immagini
ti formi il pensier;
o sposo, dimentica
l’oltraggio stranieri