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ch’uom non v’è che li non pianga,
dal piú grande al piú piccin:
195 le matrone, le donzelle
piangoli, piangon senza fin.
Proferendo pur niente
vanno il conte e la contessa.
Gli altri cascano per terra
200 dall’angoscia che gli oppressa.
Dando volta ver’ Parigi
muovean passo i cavalier,
e gemean guardando i due
mesti andare altro sentier.
205 Quei lontan, solinghi al tutto,
tengon via poveramente:
van per ermi, per dirupi,
dove mai non va la gente.
La contessa, il terzo giorno,
210 su pe’ sassi alla boscaglia
piú non regge a far cammino,
tal fiacchezza la travaglia !
Si son rotti i suoi scarpini ;
non ha piú che le calzette:
215 non può alzarli, e lascian sangue
i suoi piò dove li mette.
Pien d’amor, per consolarla
le si volse il conte a dir:
— Su ! contessa, fatti forza !
220 no, ben mio, non ti avvilir!
Di bell’acqua fresca fresca
è qui un fonte per ventura:
qui potrem ripigliar lena;
poserem qui alla frescura. —
225 La contessa, che ascoltava,
tanto quanto allungò il passo:
giunse al fonte, e pregò a Dio,
ginocchion sovra d’un sasso,