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PREFAZIONE Dopo una lunga esitazione piglio animo finalmente a far prova di pubblicare un mio primo saggio di canti popolari stranieri volti nella lingua nostra. Senza nascondere a me medesimo quanto sia per essere difficile che un genere siffatto di poesie trovi in Italia largo favore, parmi almeno conveniente forse che qualcuno pure di noi mostri in qualche modo di associarsi alle altre nazioni d’Europa anche in questo comune affaccendarsi dietro le poesie popolari, prima che non ne spengano affatto la memoria gli avviamenti un po’ prosaici delle generazioni attuali. Da poi che Giovanni Herder in Germania cominciò, un sessant’anni fa, a chiamare in credito con buone ragioni e con mediocri esempi le inerudite emanazioni della poesia, quali le rinveniva tra popoli diversi, andò piú e piú sempre crescendo da per tutto lo zelo di raccoglierle, di pubblicarle, di tradurle d’una in altra lingua. Letterati e poeti eruditi, dismessa la boria con cui se ne tenevano lontani i loro predecessori, corsero di buona voglia a far tesoro di questi semplici fiori, non che presso le nazioni vicine, ma ben anche tra le piú lontane e le riputate barbare per altri rispetti. Alla quale peregrinazione si lasciarono essi guidare dal sentimento che dovunque è principio d’una qualche civiltá, dovunque tra uomini è una qualche comunanza di memorie, di costumi, di affetti, ivi possa essere poesia; e che questa, anche senza sapienza e raffinata eleganza di forme, trovi maniera di scappar fuori dell’intelletto umano, e di muovere con efficacia diretta e baldanzosa gli animi non ancora svagati dietro i molteplici godimenti d’una civiltá piú adulta.