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la linea; e per altri difetti tanti che, se altri che lo Scarabelli le avesse mandate alla luce, e se alcun motivo se ne potesse supporre, si direbbe lo scopo della pubblicazione essere stato quello di nuocere alla fama dell’illustre scrittore».

Il De Steffani continua riprendendo lo Scarabelli perché delle lettere bentivogliane aveva dato nella prefazione questo giudizio: «le lettere che pubblichiamo non erano certamente scritte per la stampa: quest’esse e le altre che pure apparvero tre anni dopo la morte dell’autore, e quelle di che farò cenno piú innanzi dettavansi all’infretta, senza cura, oltre quella della chiarezza, fra mille distrazioni e mille disturbi, tanto da soddisfare all’ufficio diplomatico. Non sono quindi tornite, non fiorite, non leccate, come, per esempio, quelle del Caro, che persuadevasi ogni sua cosa dovere essere posta alla luce; onde quello che di suo abbiamo (e cosí accadde a molti altri) eccetto la traduzione o parafrasi deli’Eneide, tutto è d’una foggia e d’un colore grave d’arte che ammazza. Ma chi scrive o d’affetti o d’affari e vuol essere chiaro dev’essere vero e naturale; piú naturale e piú vero di chi non pensa di andar per le stampe non può esser nessuno...». Ma il De Steffani invece: «il giudizio che il signor Scarabelli nella prefazione fa di quelle sue lettere quasi per giustificarne i difetti, cioè ch’elle, per essere lettere d’affari, sieno dettate in fretta e alla spigliata, non è vero, né mi par savio; imperciocché gli affari appunto s’hanno a trattare con ordine e con chiarezza; né si può credere che il Bentivoglio, avendo tanta abitudine di porre in iscritto i suoi pensieri, ponesse meno cura scrivendo d’affari di stato al pontefice e al cardinale segretario, che scrivendo complimenti alle dame o a’ cavalieri»; e quindi conclude: «... meglio era confessare apertamente ciò che apparisce a chiunque; che il manoscritto onde quelle lettere furon tratte, era da ritenersi per iscorretto e guasto e manchevole».

A proposito di queste osservazioni del De Steffani noteremo, in primo luogo, che realmente il Bentivoglio nelle sue lettere diplomatiche, come per lo piú negli altri suoi scritti, rende i nomi dei personaggi e delle famiglie straniere, francesi generalmente, piú conformemente alla pronuncia italiana, e forse ancora piú particolarmente sua, che non secondo l’esatta ortografia nella lingua loro. Cosí abbiamo, per citare forse i piú alterati: Rosfocò per Rochefoucauld, Pernon per Épernon, Pisius per Puysieux, d’Umena per Du Maïne, Couré per Coeuvres.