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l’italianità del trentino e l’irredentismo italiano 143

dei garibaldini spintisi fin quasi a Riva sul Garda.

Oggi noi profughi viviamo in un’angosciosa attesa. Non sappiamo se il domani sarà apportatore di guerra o di pace, di libertà o di rinnovata schiavitù pel nostro paese.

È giusto, è doveroso il riconoscere che in tutta Italia abbiamo avuto cordiale e ospitale accoglienza e massime dai vecchi, memori della dominazione austriaca e da tutti gli intellettuali. Pure le nostre aspirazioni, le nostre speranze non sono condivise con quel consenso unanime che vi era, quando la sventura di Trento e Trieste era sventura comune a gran parte d’Italia. Sentiamo di vivere — e più lo sentivamo nei mesi trascorsi — in un’atmosfera di diffidenza che solo lentamente va trasformandosi.

Avemmo l’impressione di essere accolti con quella preoccupazione con cui in terra straniera si guarda al compatriota che vi è ignoto, di cui non conoscete nè il passato nè i propositi. Parla la dolce lingua della patria ed è già questa ragione per accoglierlo fraternamente. Ma poi con bel garbo gli si fa capire che sarebbero ben accette notizie un po’ in dettaglio sul suo conto, sul paese da cui precisamente viene, sulle sue intenzioni e che si darebbe volentieri un’occhiata anche al passaporto.

Noi abbiamo compreso.... l’antifona e l’invito a dir di noi l’abbiamo accolto con gioia.

Parlare della propria terra è dolce, anche se duole saperla meno nota di quanto sarebbe e giusto e necessario; e quanto al presentar le no-