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cipio di Egna rifiutò ogni transazione e stabilì di impedire ad ogni costo la trasformazione della scuola.

Era la ribellione. Il Commissario generale civile fece l’unica cosa che poteva fare: sciolse il consiglio comunale di Egna e insediò al suo posto un commissario regio. Ma la lotta iniziata dal municipio, bene organizzata, si svolgeva automaticamente. Le maestre di Laghetti, delle scuole austriache, rifiutarono di consegnare e di abbandonare la scuola. I carabinieri intervennero e le portarono alla stazione. Arrivarono gl’insegnanti italiani e non trovarono alloggio. Il parroco, l’ex-sindaco e qualche signorotto avevano girato da casa a casa impartendo benevolmente istruzioni. Gl’insegnanti italiani si contentarono di una soffitta. Ma alla fine, però, la scuola era italiana. Sì, ma non aveva più scolari.

A questo punto si era organizzato lo sciopero della scolaresca. (Una parentesi a proposito dello sciopero della scolaresca. Tempo fa la sezione di Bolzano della Schulverein, sempre viva, prospera e autorevole, inviò a qualche Consiglio scolastico della zona mistilingue l’invito a mettere in opera tutte le influenze possibili per impedire che la scuola elementare governativa italiana fosse frequentata. L’invito era firmato dal famoso Perathoner, l’inamovibile borgomastro di Bolzano che, in virtù della legge austriaca, è investito dei poteri politici di un sottoprefetto — sottoprefetto d’Ita-