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cento di italiani di razza, di nome e di lingua. È vero che le statistiche austriache affermavano che Laghetti era tedesco, ma fra le cifre dell’Austria e la verità toccata con mano, il Commissario generale civile, ancora fresco di ufficio, reputò che la verità fosse degna di qualche preferenza. Abbandonandosi perciò incautamente alla logica e al buon senso, virtù inconciliabili con la politica dello Stato, reputò ingiusto che delle genti italiane in Italia dovessero ricevere una istruzione tedesca destinata a germanizzarle, e, forte dei suoi poteri e della sua coscienza, ordinò senz’altro che la scuola di Laghetti si trasformasse da tedesca in italiana. Semplicissima — direte voi. Aspettate.

La condizione di Laghetti è su per giù quella di quasi tutti i paesi fra Bolzano e Salorno e nelle valli ladine, i quali sono italiani o ladini di fatto e tedeschi di scuola e di censimento. (Una parentesi a proposito di censimento. L’ultima volta che si fece il «catasto» della popolazione, nel 1910, ben che si fossero chiamati «tedeschi» tutti coloro che conoscevano qualche parola tedesca, il numero degli italiani nel così detto Tirolo tedesco risultò ancora così esorbitante a giudizio delle I. e R. autorità che queste ordinarono una parziale revisione. Rivedendo, si stabilì non solo che tutti gli allievi delle scuole tedesche — e non ce n’erano altre — fossero considerati tedeschi, ma che anche le famiglie di detti allievi venissero in blocco registrate come tedesche, non potendosi ammettere che,