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È strano che l’Italia non abbia ancora sentito il bisogno di sapere esattamente quanti tedeschi, quanti ladini e quanti italiani abbia annesso — per non parlare che della Venezia Tridentina — e che continui a fare i conti sulle statistiche austriache. Non si tratta di una semplice curiosità. La legge austriaca vige ancora nelle province annesse, e la legge austriaca ha fatto del censimento un formidabile strumento di governo. Noi non immaginiamo la potenza che aveva quassù il decennale inventario dei cittadini (il «catasto nazionale», come si chiamava). I diritti delle varie nazionalità erano proporzionati alle cifre del censimento. Se questo stabiliva che in un paese c’erano mille tedeschi e cento italiani, scuole, uffici, religione, tutto vi diventava tedesco in perfetta legalità. Non c’era niente da dire. Nelle lotte di razza, il censimento rappresentava una sentenza inappellabile. L’oppressione aveva l’aria di un atto di giustizia, di un riconoscimento dello stato di fatto, di un omaggio alla verità matematica. Apparente-