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idee, non si parlava più di provincia unica, si voleva liquidare al più presto la questione tedesca. Tutta l’Italia, del resto, pareva in liquidazione. Da Parigi il capo della Delegazione italiana, impastoiata nella questione adriatica, raccomandava al Commissario una politica cautissima nell’Alto Adige, per non dare appiglio ai malevoli che avrebbero chiesto delle garanzie per le minoranze nazionali. Magari! Si sarebbe fissata qualche garanzia anche per le maggioranze. L’autorità del Deutscher Verband (che pone nell’art. 1 del suo programma la «riserva di non riconoscere l’annessione del Tirolo») veniva riconosciuta a Roma, dove l’ignoranza della situazione e la diffidenza, se non l’antipatia, verso i patrioti che reclamavano una politica più vigorosa avevano gettato completamente il Governo dalla parte tedesca.

Si meditava di concedere senz’altro, per decreto reale, l’autonomia all’Alto Adige. Si lasciava capire che era vicina. Un affare da nulla! Nell’aprile del 1920 i rapresentanti del Deutscher Verband (Toggenburg, Nicolussi, Perathoner, Walther, Tinzl) furono chiamati a Roma a discutere della faccenda. Essi pretesero subito la garanzia che l’Alto Adige sarebbe stato separato dal Trentino. L’on. Nitti, che era a S. Remo, interpellato telegraficamente, concesse l’assicurazione richiesta, senza consultare dei rappresentanti trentini che avevano pure qualche diritto di essere ascoltati. In nove mesi l’opinione del Governo italiano si