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clama la libertà e pretende la sua autonomia, aspettando di ritornare in grembo alla madre tedesca. Ci ha detto che il concetto della frontiera geografica è iniquo; che è un grande dolore per i tirolesi vedere mescolarsi fra loro degli italiani, ma che tuttavia li hanno rispettati, finora; in cambio del rispetto essi sono stati diabolicamente aggrediti; per cui non si può avere nessuna fiducia nell’Italia, ecc., ecc. Il bizzarro non era nella musica, era nel tono. A voce sommessa, con accento commosso, l’oratore, per solito reciso ed eloquente, parlava a piccole frasi staccate, fra i sospiri. Aveva l’aria accorata, confidandoci tutta la bassezza del nostro paese, pur riconoscendo che qualche autorità italiana, qui e a Roma, è degna di elogio per le sue intenzioni. Ma il resto! I carabinieri, i soldati, gli ufficiali, tutti complici...

Il singhiozzo alla gola, le lagrime agli occhi, egli ci ha dichiarato flebilmente che oramai «fra noi non ci può essere più che eterna inimicizia!» Dopo di che, estratto il fazzoletto, vi ha affondato il viso ed è scoppiato in un pianto dirotto. Momento drammatico. Ci aspettavamo dei grossi calibri e siamo stati accolti con gas lacrimogeni. Come consolarlo?... Scusi, non lo faremo più, un’altra volta lasceremo vincere la guerra a lei e portare il tedesco a Verona... Ah, c’è una gran dose di orgoglio ferito e d’ambizione fallita in questi dolori politici!

Ma per solito i tedeschi non perdono la loro