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È veramente una suprema ironia della sorte che trasforma questo ministro dell’Interno dell’Impero Austro-Ungarico in un deputato della Camera italiana, dove entrerà vestito da irredentista, per chiedere quello che ha sempre considerato iniquo, per proclamare idee che ha sempre giudicato criminali, smentendo, se stesso, e pur rimanendo coerente a se stesso; perchè in fondo il suo principio inalterabile si riduce a questo: che il comando è una funzione tedesca.

Personalmente è simpatico. Di aspetto piacevole, alto, snello, fine, con due rade e grigie basette emblematiche ai lati del volto raso, egli ha un’aria giovanile ed una fisionomia antica. Si direbbe di aver visto il suo viso pallido e sottile da diplomatico di razza in qualche incisione del tempo del Congresso di Vienna. Ha l’arte aristocratica di essere naturalmente affabile. Per arrivare a lui, attraverso i saloni del suo palazzo, siamo passati sotto allo sguardo severo di arciduchi ritratti in tunica bianca. Di fronte alla sua casa, sulla facciata d’un grande edificio nuovo, c’è scritto «Franz Josef Schule» (l’unica scuola Francesco Giuseppe che sia rimasta in tutto l’ex-Impero Austro Ungarico). Si respira per tutto una greve aria austriaca. Ma il conte ci parla in un italiano perfetto:

«Signor redattore, — ci dice — io ho sempre avuto simpatia per gl’italiani. Una simpatia che mi è stata spesso rimproverata. Anche adesso, contro l’opinione degli altri, io ho fiducia nella equa-